Quando l’onore italiano si difendeva eccome! Difendere il tricolore, sfidando a duello chi metteva in dubbio il coraggio degli italiani, un tempo era un punto d’onore. Ci si poteva battere all’arma bianca, rischiando di morire, perché l’onore degli italiani non si poteva mettere in discussione. La vicenda risale alla fine dell’800 ed è quasi dimenticata, ma all’epoca fece scalpore.
Quando l’onore italiano si difendeva
Sto parlando del duello fra il conte di Torino e il principe d’Orléans. Il nobile italiano aveva dedicato tutta la vita alla Cavalleria, l’”arma nobile”, fino a diventarne il comandante in capo. La sua esistenza fu un po’ oscurata dai fratelli, ma anch’egli conobbe l’acclamazione nazionale per il coraggio dimostrato. In quell’epoca in bianco e nero, Parigi splendeva di locali notturni e artisti. Era trascorso un anno dalla sconfitta di Adua, subita dalle nostre truppe in Etiopia.

Fu inesorabile l’accerchiamento di 100.000 guerrieri di Menelik II. Il principe ed esploratore francese Henri d’Orléans, tornato dall’Abissinia, pubblicò sul giornale “Le Figaro” un articolo infamante verso gli italiani. Accusava apertamente di codardia gli ufficiali italiani ancora prigionieri del Negus. Soprattutto citava il 57enne generale Matteo Albertone, che, secondo lui, avrebbe servilmente innalzato un calice a Menelik. Il fatto era non solo grave ma poco credibile dato che l’ufficiale italiano era inflessibile.
Duello all’arma bianca – Difendere il tricolore
L’ufficiale aveva tra l’altro tentato il suicidio da prigioniero per l’onta della sconfitta. Albertone indignato, chiese al Ministero della Guerra di essere congedato perché voleva lui sfidare a duello il francese, poiché la pratica era proibita dalla legge, ma ufficiosamente ancora in uso. Tuttavia, era in gioco l’onore di tutti i soldati italiani. Nella diatriba entrò Vittorio Emanuele d’Aosta che era quasi coetaneo all’Orléans e suo pari per sangue reale.

Quest’ultimo non poté rifiutare la sfida e si fissò infine il duello per le 5 di mattina del 15 agosto 1897 nei boschi di Vaucresson, vicino Parigi. Il dado era tratto. Si scelse la nobile spada considerando la pistola troppo borghese, quasi “da mariti traditi”. Padrini furono il conte Leontieff e il conte Avogadro. Al primo scambio, Orléans è sfiorato al petto dalla veemenza dell’italiano. Il secondo affondo invece s’interrompe per un corpo a corpo con le cocce delle spade.
Conte di Torino – Quando l’onore italiano si difendeva
Poi durante la terza ripresa il conte di Torino viene leggermente ferito alla mano destra. I francesi vedono la valenza dell’italiano che ha slancio e vigore e vorrebbero chiudere in pareggio. Invece il conte di Torino vuole continuare, non è soddisfatto. Il quarto attacco s’interrompe perché la lama del principe si spezza. Al quinto incrociar di spade, infine, con una micidiale parata e risposta, Vittorio Emanuele trafigge l’addome dell’avversario, sopra l’inguine e lo piega definitivamente.

L’avversario sanguina. La ferita non è mortale, ma abbastanza grave da porre fine al duello, durato 26 minuti. L’Orléans cavallerescamente volle mettersi seduto per stringere la mano all’Aosta che riprese subito il treno per Torino. L’accoglienza in Patria fu trionfale e re Umberto fu il primo a mandare questo telegramma al nipote vittorioso: “Voglio essere il primo a felicitarti con tutto il cuore dell’esempio da te dato e del successo riportato”.
Sala Caprilli del Museo Storico dell’Arma di Cavalleria di Pinerolo
Seguì quello di Giosué Carducci: “Mi permetta V.A.R. di salutare commosso e plaudente il valoroso campione dell’esercito e vindice del nome italiano, ora e sempre” e quello, commovente, di un tale Nicolini, genitore di un caduto: “Ringraziando S.A. a nome del figlio caduto ad Adua”. Giovanni Pascoli scrisse anche un epigramma: «Io sentii nel mio cuore il minimo murmure, che era la gran voce del popolo italico; e diceva: “Conte di Torino, a fondo! Bravo! Hai vinto, ho vinto. Io sono un povero popolo. Ma principe italiano Voi solo sapete che io ho meritato di essere rappresentato da Voi”. Pochi sanno che le spade adoperate durante il duello sono conservate in una vetrina tappezzata di rosso nella Sala Caprilli del Museo Storico dell’Arma di Cavalleria di Pinerolo, uno dei musei militari più affascinanti e ricchi di memorie d’Italia.